YAMAHA PSR 6300

Chi ci segue sin dagli inizi, avrà notato che in nessuna delle puntate di questa rubrica, abbiamo analizzato un Arranger prodotto dalla Yamaha. Questa mancanza, non è dovuta al fatto che la casa giapponese non abbia prodotto strumenti innovativi o interessanti in questo campo, anzi, possiamo decisamente affermare l’esatto contrario, ma semplicemente perché non avevamo macchine disponibili da poter testare ed analizzare. La quasi totalità delle tastiere e dei moduli analizzati e descritti nelle rubriche Arranger Legacy e Synth Legend, fanno parte della mia personale collezione nella quale, non è purtroppo presente nessun Arranger Yamaha.
Questa mancanza è principalmente dovuta al fatto che vivendo nei pressi della “Silicon Valley” degli strumenti musicali Italiani, quando dovevo comperare un Arranger, il più delle volte, ho optato per un prodotto “locale” se non altro per avere accesso al massimo supporto possibile o alla più rapida e veloce assistenza tecnica. Il negozio dal quale mi rifornivo da giovane ad esempio, il mitico “Strumenti Musicali Principi”, pur avendo anche in esposizione strumenti giapponesi, promuoveva e sponsorizzava in prima battuta strumenti provenienti dalle fabbriche locali come CRB, Farfisa, Solton o ELKA con le quali probabilmente otteneva margini migliori o magari riusciva a concordare un trattamento economico più vantaggioso.
In ogni caso, grazie alla cortesia di un amico, questo mese colmiamo questa enorme lacuna e parliamo di una delle capostipiti dalla fortunatissima serie di Arranger PSR della Yamaha che quando uscì sul mercato fece molto scalpore sia per le sue funzioni innovative che per la sua qualità sonora.
La Yamaha PSR 6300 era una tastiera Arranger top di gamma che fu immessa nel mercato dalla multinazionale giapponese nel 1986.
Disponeva di una generazione sonora in sintesi FM (Modulazione di frequenza) sviluppata dalla Yamaha agli inizi degli anni ’80 di cui abbiamo già parlato nella puntata dedicata al famoso DX7.
La tastiera ricalcava nella sua forma e nel suo layout meccanico, estremamente elegante ed innovativo, un modello precedente, la PSR 6100 presentata nel 1984, migliorandone però la qualità sonora, il numero delle voci, la polifonia e gli styles disponibili.

Yamaha PSR 6300

Il sistema di amplificazione integrata poteva fa pensare che la PSR 6300 fosse principalmente dedicata all’home entertainment (all’uso casalingo per dirla all’italiana) anche se grazie alle sue caratteristiche top di gamma venne utilizzata da molti musicisti professionisti ottenendo un ottimo successo commerciale.
I competitors del tempo, realizzavano principalmente i loro strumenti con tecniche di generazione sonora analogica o con al massimo qualche suono PCM relegato alle sole parti percussive.
Suoni credibili, una ricca politimbricità (la possibilità di generare contemporaneamente più suoni diversi) e una buona polifonia (la capacità di generare più note allo stesso tempo) erano caratteristiche fondamentali per la reazione di un Arranger di qualità e allo stesso tempo ostacoli quasi insormontabili per la tecnologia in loro possesso.

Il chip di generazione sonora

La Yamaha, grazie agli studi e all’applicazione della sintesi FM, disponeva invece di una serie di chip e strumenti digitali in grado di fare la differenza sia in termini quantitativi (polifonia e politimbricità) che qualitativi. I generatori FM potevano produrre più suoni contemporaneamente e utilizzabili sia negli accompagnamenti armonici che come suoni solisti da eseguire sulla tastiera dello strumento.
Nella PSR 6300 la Yamaha sfruttò a pieno questa “supremazia tecnologica” ed incluse per il tempo ottimi suoni solisti, accompagnamenti armonici ricchi e credibili e ritmi con suoni PCM di qualità.
Non a caso la PSR 6300 fece molto scalpore al suo debutto e fu per alcuni anni una dei leader del mercato.

Layout innovativo
La tastiera disponeva di un pannello comandi che poteva essere richiuso sui tasti.
In pratica una volta chiusa, si presentava come un robusto rettangolo metallico e relativamente facile da trasportare poichè la presenza ai due estremi degli altoparlanti, la rendeva un po troppo lunga.

La PSR 6300 in modalità ” Closed”.

Il suo layout meccanico non era una novità assoluta; ricalcava come già scritto la PSR 6100 immessa sul mercato qualche anno prima (nel 1984) con la quale Yamaha aveva fatto da apri pista in questo segmento di mercato.
Nella PSR 6300 avevano migliorato in maniera sensibile i suoni, la polifonia, i ritmi ed il sound globale dello strumento ma l’impostazione e la filosofia di massima era rimasta simile al modello precedente: la PSR 6100 appunto.

Le tre sezioni dello strumento.

Lo strumento disponeva di 16 voci differenti per ogni sezione disponibili (lower, orchestra e solista) e di 32 ritmi con Drum e suoni campionati.
Erano disponibili inoltre 8 locazioni di memoria per ospitare nuovi stili personalizzati: in pratica si poteva aggiornare il contenuto dello strumento il che rappresentava una grande novità per l’epoca.
Tramite uno slot di memoria, si potevano inserire delle cartucce di memoria aggiuntive, con le quali estendere le funzionalità dello strumento per salvare o caricare nuovi styles e songs.
Visto che le card erano decisamente costose, i dati potevano essere anche salvati e caricati su delle audio cassette tramite un registratore a nastro esterno (preistoria !!).
Se volete sentire quale era il suo sound, guardate il video seguente realizzato dal maestro Marcello Colò nel quale esegue alcuni brani con la PSR 6300.

Leggete anche l’ottimo articolo del ciruito Arranger legacy di questo mese su SM
http://www.smstrumentimusicali.it/yamaha-psr-6300/
e quello pubblicato sul blog di Renato Restagno:
https://tastierearranger.com/2024/05/13/arranger-legacy-yamaha-psr-6300/

I nuovi styles potevano essere direttamente programmati all’intero dello strumento suonando parte dopo parte sulla tastiera e memorizzandoli all’interno delle locazioni di memoria disponibili.
Due wheels per il pitch e la modulation erano presenti nella parte sinistra dello strumento e potevano agire sui suoni “solisti” della tastiera dando maggiore espressività alle esecuzioni.
Tenete in considerazione che tutte le sezioni potevano riprodurre 48 differenti voci con una polifonia massima di 16 note il che per l’epoca era un numero di tutto rispetto.
La tastiera era sensibile alla velocity ed erano disponibili alcune curve di risposta direttamente selezionabili dal pannello.
La parte arranger era molto evoluta. Ogni style disponeva di 4 Fill differenti di una Variazione oltre ad un Intro ed un Ending.
Erano disponibili diverse modalità per impostare gli accordi dell’accompagnamento (single finger, chord, etc.) ed era possibile suonare il basso in modalità manuale (Manual Bass) al di sopra dell’accompagnamento.
Le tre differenti sezioni: Orchestra Lower, Orchestra Upper e Solo disponevano di un controllo volume separato tramite slider che si aggiungeva a quello del volume del basso, della batteria e degli accompagnamenti.
Insomma era un Arranger estremamente completo.

Gli slider per il controllo del volume delle sezioni.


Alziamo il cofano.
Visto che il prodotto era in “prestito” e che non presentava alcun difetto o problema da sistemare, non ho avuto il coraggio di aprirlo e smontarlo.
Trattandosi di un oggetto che ha quasi 40 anni di vita, non ho voluto rischiare di rompere qualche particolare plastico o danneggiare qualche suo circuito interno.
Analizzeremo il suo funzionamento dallo schema elettrico senza ispezionare il suo interno.

La main board della PSR6300

La generazione dei ritmi e dei suoni percussivi di batteria era ottenuta tramite un chip appositamente progettato dalla Yamaha per questo scopo: l’ YM 2154.
Si trattava principalmente di un componente in grado di riprodurre campioni percussivi memorizzati all’interno di memorie ROM custom.

Schematico della generazione dei suoni percussivi.


Il Chip YM 2154 anche chiamato RYP4 drum chip, era un dispositivo multifunzionale che conteneva un sample player a 12 canali (poteva quindi riprodurre un max di 12 suoni percussivi contemporaneamente), un convertitore analogico digitale a 10 canali, 4 pin general purpose e un timer in grado di generare interrupt. Il chip veniva direttamente collegato ad un convertitore D/A (il YM 3012) per generare il suono analogico. Il suo schema di principio e di utilizzo era il seguente:

Schematico di principio di funzionamento del chip YM 2154

Nelle memorie ROM esterne (proprietarie di Yamaha) venivano memorizzati i campioni dei vari suoni percussivi. Questa soluzione è stata utilizzata da Yamaha in molte altre macchine come ad esempio nella famosa batteria elettronica RX 11 e RX 15
Per questo chip erano disponibili anche tutta una serie di memorie ROM (YM 21901, YM 21902, etc..), ognuna dalla capacità massima da 32Kbyte, contenenti suoni campionati dei vari strumenti percussivi che la Yamaha utilizzava di volta in volta nei suoi strumenti musicali.

Tabella di occupazione dei suoni percussivi nelle ROM Yamaha


Dalla tabella possiamo notare che il Ride e il Crash (la tabella si riferisce alla Drum machine RX 11) occupavano ciascuno un’intera memoria (YM 21901, YM 21902) mentre gli altri suoni percussivi erano di dimensioni molto inferiori e potevano essere contenuti in un solo chip.

Reverse engineering
Essendo un chip custom non vi sono notizie pubbliche ufficiali.
Se siete curiosi, a questo link:

https://retroandreverse.blogspot.com/2021/07/secrets-of-ym2154.html

Qui potete trovare un suo studio di reverse engineering che cerca di spiegare come funzionava e come poteva essere programmato.

Pagina del sito dove potete trovare informazioni sul funzionamento del YM 2154

La genrazione Sonora della PSR 6300
La generazione sonora era ottenuta grazie all’uso di due chip distinti marcati come XB768001 che corrisponde all’operatore YM 2414 a.k.a. OPZ.


Si trattava di un chip di generazione sonora custom sviluppato da Yamaha ad otto canali in modulazione di frequenza utilizzato per la prima volta nel generatore sonoro TX81Z.
Permetteva la generazione di otto voci con 4 operatori per canale e disponeva di una serie di forme d’onda prestabilite.
Nel progetto PSR 6300, per aumentare polifonia disponibile, ne vennero utilizzati due gestiti tramite un processore di controllo apposito che smistava i canali e i suoni sui due chip di generazione.

Schema elettrico della generazione sonora della PSR 6300


In pratica un chip generava i suoni dell’orchestra upper e lower mente l’altro quelli della parte solo e degli accompagnamenti.
Due DAC marcati sempre Yamaha convertivano il suono in analogico per poi essere mixato e mandato all’uscita dello strumento.

Per i più curiosi vi segnalo questo software tracker che emula molte delle sonorità dei chip Yamaha compreso quelle del YM 2414
https://github.com/tildearrow/furnace

Di seguito alcune immagini della PSR 6300 che abbiamo provato.

Lineare e Aritmetico: Roland D50

Roland D-50 è uno dei sintetizzatori più importanti degli anni ottanta ed ha segnato in maniera indelebile la storia della musica elettronica. Lanciato nel 1987, è stato uno degli strumenti più rivoluzionari del suo tempo. Fu il primo a combinare suoni e campionamenti in PCM con la sintesi sottrattiva. Questa nuova tecnica, denominata Lineare Aritmetica, permise per la prima volta di creare suoni con un attacco realistico e credibile seguito da un corpo strutturale sintetizzato. Questo innovativo approccio ha reso il D50, un pioniere nel suo campo e offrì ai musicisti dell’epoca, una palette sonora rivoluzionaria molto più ricca e versatile di qualunque altro strumento disponibile sino ad allora.
Dalle prime righe del suo manuale utente possiamo leggere:
Roland D-50 è molto diverso da qualsiasi altro sintetizzatore passato o presente e ciò annuncia l’alba di una nuova era. In passato esistevano i sintetizzatori analogici che si basavano su una varietà di elementi come i VCO, i VCF, e VCA e questi elementi costitutivi, erano relativamente facili da capire e programmare. Potevano produrre suoni caldi e avvolgenti tuttavia non erano in grado di emulare in maniera convincente suoni acustici o creare sonorità innovative. D’altra parte, la prima generazione dei sintetizzatori digitali, gli FM dei primi anni ottanta, pur essendo in grado di generare nuove e bellissime sonorità, sono difficili da programmare ed il processo di creazione dei suoni non è così semplice ed intuitivo come quello del mondo analogico. Il D50 cambia tutto e grazie alla sua innovativa tecnologia digitale e ai suoi chip appositamente progettati, è facile da programmare e capace di creare suoni realistici ed innovativi, dal carattere caldo ed avvolgente.
Insomma una vera e propria rivoluzione!

Roland D50
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Il muro delle interfacce grafiche.

Nelle pagine di questo blog, ho parlato molto spesso dei framework per la realizzazione di interfacce grafiche, adatti alle varie piattaforme embedded.
Ho parlato più volte di Qt, di GTK, di WxWiget e LVG e di alcune loro applicazioni ed implementazioni sulle piattaforme basate su processori Imx.

Nel corso della ultima fiera Embedded World , tenutasi la scorsa settimana a Norimberga, nello stand della ST vi era una bellissima esposizione di evaluation boards, ognuna equipaggiata con un’applicazione grafica realizzata utilizzando un toolkit diverso.

La rassegna di applicazioni, tutte molto carine e ben fatte, è un ottimo modo per elencare i vari framework disponibili e analizzare il loro Look&Fill sulle varie board di casa ST.

Questo è l’elenco dei framework utilizzati:

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KORG iS40: La giapponese dal gusto italiano.

Nella puntata di questo mese di Arranger Legacy, parliamo della tastiera Korg iS40 e del suo modulo i40M.
Questi strumenti appartengono alla prima serie di arranger professionali concepiti e sviluppati nel centro di ricerca KORG, localizzato nei pressi di Ancona (a Campocavallo di Osimo per l’esattezza).
La KORG Italy venne infatti fondata nel 1996 da alcuni ingegneri e tecnici “transfughi” della Generalmusic che coadiuvati e supportati dalla direzione della multinazionale giapponese, misero in piedi un centro di sviluppo vivace e creativo che ancora oggi è pienamente attivo e che continua a sviluppare molte delle tecnologie e delle risorse utilizzate nella maggior parte degli strumenti musicali prodotti dalla multinazionale. Le Marche vennero scelte come base operativa proprio per la sua importante storia nel settore degli strumenti musicali, ma soprattutto per la grande disponibilità di risorse specializzate nell’intera filiera. Il nuovo centro nacque principalmente per sviluppare arranger professionali e pianoforti digitali, sfruttando l’esperienza e le idee degli ingegneri che avevano lavorato attivamente in passato allo sviluppo di alcune macchine iconiche come la serie S della GEM o gli arranger della famiglia WK.
La loro esperienza e creatività unita alla tecnologia e ai motori sonori di sintesi AI2 messi a disposizione dalla KORG, permise di realizzare strumenti professionali molto interessanti e dal grande successo commerciale ,come la serie iS ma anche come le successive e ancora oggi famose, tastiere della serie PA.
Se ne volete sapere di più sulla storia ed i personaggi legati al mondo Korg, leggete l’ottimo articolo di Renato Restagno del circuito Arranger Legacy di questo mese.
https://tastierearranger.com/2024/03/18/arranger-legacy-korg-is40-e-i40m/

Vocazione Arranger
La KORG iS40 e la sorella minore iS50, sono strumenti che offrono una vasta gamma di suoni e funzionalità.
Sono stati progettati per soddisfare le esigenze dei musicisti professionisti più esigenti, ma dispongono nello stesso tempo di un’interfaccia accessibile e facilmente utilizzabile anche dagli amatori o da chi è alle prime armi. Gli strumenti utilizzano il sistema di sintesi AI2 (Advanced Integrated Synthesis System) per la generazione interna ed offrono una vasta gamma di suoni realistici e dalla forte espressività timbrica. Questo sistema infatti combina campionamenti PCM con la sintesi sottrattiva e permette di creare timbri complessi ed articolati. La iS40 dispone di una Wave Rom da 14 mega ( di cui 2 dedicati al timbro di Grand Piano). I suoni sono stati elaborati in Italia e il suo sound si discosta abbastanza da quello presente in molti synth/workstation Korg prodotti precedentemente. Nella iS40 c’è un buon sample di Grand Piano, buone simulazioni di strings, fisarmoniche e ottimi suoni sintetici come da tradizione Korg.

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GEM S2: Synth-workstation top player Italiana!

La workstation GEM S2 e la sua sorella maggiore S3, possono essere considerate uno degli ultimi esempi di synth-workstation professionali concepiti e prodotti interamente da un’azienda italiana.
La Generalmusic pianificò la serie “S” agli inizi degli anni 90 (qualcuno dice quando ancora nelle insegne campeggiava il nome ELKA) e la sviluppò grazie alle nuove tecnologie acquisite dall’azienda a partire dalla serie WS (leggete qui il nostro articolo relativo alla Ws2).
Grazie ai nuovi chip sonori e alle nuove risorse tecnologiche sviluppate dalla casa di Mondaino, il personale tecnico dell’Ex ELKA, realizzò una tastiera workstation che poteva essere usata sia su di un palco, che in uno studio di produzione musicale con ottimi e sorprendenti risultati.
La serie, composta da S2, S3 e S2R (nonchè da un unico esemplare ad 88 note chiamato S4), disponeva infatti di un sistema operativo evoluto e moderno ( il MIOS), un display grafico all’avanguardia per i tempi, un sequencer completo e professionale e di un sofisticato pannello dal layout elegante e funzionale.


Il cuore dello strumento era un processore Motorola, un 68302 simile a quello utilizzato nei computer Atari ST del tempo.

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Grafica Embedded alternativa.

Al giorno d’oggi molte applicazioni richiedono una interfaccia grafica GUI (Graphical User Interfacce) accattivatene e funzionale. Per realizzare in modo veloce ed efficiente una moderna applicazione grafica è richiesto un valido framework che includa un funzionale IDE nel quale scrivere il codice ed effettuare il debug, un editor grafico dove realizzare e disegnare l’interfaccia ed front-end dell’applicazione e una serie di librerie ed API che permettano il controllo e la gestione delle risorse hardware messe a disposizione dalla piattaforma nella quale si sta sviluppando l’applicazione.

Qt è uno dei esempio più completi e potenti appositamente progettati per soddisfare tutte le esigenze appena descritte. Purtroppo, le licenze per un suo uso commerciale sono sempre più restrittive ed il suo utilizzo professionale per un’applicazione embedded può essere costoso in termini di royalty.

Esiste qualche altro framework o toolkit con il quale è possibile realizzare applicazioni grafiche commerciali e professionali che non richieda il pagamento di ingenti somme per l’acquisto delle licenze d’uso?

La risposta è ovviamente affermativa anche se, di volta in volta vi è la necessità di valutare qual’è il suo stato di integrazione all’interno della piattaforma scelta. In altre parole, una dato framework potrebbe essere disponibile o facilmente integrabile in una data piattaforma e non disponibile in un’altra.
Per essere supportato è infatti necessario che sia incluso nel file system del sistema embedded il quale, deve contenere, tutte le risorse e le librerie richieste dal toolkit selezionato.

Sono inoltre molto utili la disponibilità di guide dettagliate su come configurare i tools necessari e su come sviluppare un’applicazione con il framework individuato.

Programmi e applicativi di esempio sono anche loro molto utili e consente di testare e verificare la funzionalità dell’ambiente nelle fasi iniziali di studio e sturt-up del progetto.

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Un codice che poteva valere milioni di dollari.

Complice un periodo di riposo forzato, ho avuto la possibilità di scorrere e vedere alcune serie TV proposte da alcune note piattaforme di streaming.
La mini serie dal titolo: il codice da un milione di dollari, ha catturato la mia attenzione e la sua avvincente storia (che non conoscevo) mi ha profondamente colpito.
La serie, ripercorre la storia e le vicende processuali di una società tedesca fondata da due ragazzi visionari, che nel lontano 1994, con i mezzi tecnici e tecnologici dell’epoca, avevano realizzato un software del tutto simile al famoso Google Earth chiamato TerraVision.
Si trattava si una rappresentazione virtuale in rete della terra, basata su immagini satellitari, riprese aeree, dati di altitudine e dati architettonici. L’applicazione software 3D rendeva i dati terrestri visibili, tangibili e, soprattutto, esplorabili in modo interattivo. Si poteva navigare liberamente ed in tempo reale attraverso il globo virtuale foto-realistico, scorrere le panoramiche della terra e volare virtualmente verso la superficie della terra, dove prima i continenti, poi le città e infine i modelli architettonici ad alta risoluzione dei singoli edifici diventavano visibili.
Tutto questo 10 anni prima che il colosso americano lanciasse il suo prodotto: Google Eatrh.

La mini serie, tratta dai verbali del processo che la piccola azienda tedesca intentò contro la multinazionale americana per violazione di brevetto (poiché i due programmi lavoravano e funzionavano nello stesso identico modo) ripercorre la storia e le vicende dei fondatori della ART+COM e di come a partire da una semplice idea nata davanti ad un kebab, riuscirono a realizzare quello che per i tempi e i mezzi di quegli anni era quasi impossibile.

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KORG M1

La KORG M1 è stata la prima workstation musicale digitale multi timbrica dotata di suoni innovativi e dalla sorprendente qualità timbrica.
Fu immessa sul mercato tra il 1988 e il 1989 e grazie agli oltre 250.000 esemplari venduti, è stata la tastiera digitale più venduta di tutti i tempi almeno sino ad oggi. Alcuni dei suoi preset, hanno segnato in maniera indelebile la produzione musicale dei primi anni ’90, come il pianoforte “Piano 16”, il pad “Universe” o il coro “Ooh-Aah” sono stati usati da molti artisti famosi, come i Queen, i Depeche Mode, i The Cure, Pet Shop Boys, Vangelis e molti altri.
Se volete sentire il suono di questo strumento, ancora attualissimo, guardate il video seguente in cui Marcello Colò esegue alcuni brani utilizzando questo splendido sintetizzatore.


Mentre se volete approfondire con l’articolo Synth Legend di Luca Pilla, leggete il suo ottimo intervento a questo link.

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Wx2: l’Arranger con il Karaoke dentro.

Nella prima metà degli anni 90, il settore delle tastiere arranger e degli strumenti musicali elettronici, era in grande fermento e non vi era semestre in cui i produttori non presentassero nuove macchine sempre più performanti e dalle inedite funzionalità. In quegli anni i musicisti che si esibivano nei piano bar o nelle sale da ballo come esecutori singoli o in piccole formazioni (duo o trio), erano soliti portare sul palco pile di tastiere ed expander dai quali attingere i suoni e gli accompagnamenti per loro esibizioni.
Immancabile era anche il grande blocco dei testi e delle partiture (di solito provvisto di pagine numerate ed indice analitico) dal quale leggere le parole e gli accordi dei brani in scaletta. Ricordo ancora lo “spaginare” rapido e compulsivo che di solito era presente tra un brano e l’altro del repertorio soprattutto quando la scaletta saltava e si doveva eseguire qualche brano a “gentile richiesta”!
Con l’avvento delle macchine multi timbriche, provviste di sequencer interno e degli arranger con accompagnamenti e suoni credibili (vedi articolo sul Roland-ProE ), la pila di espander poteva essere drasticamente ridotta ma restava sempre il problema delle parole e delle partiture.
La giapponese Pioneer proponeva in quegli anni un sistema Karaoke

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ITALO DISCO avanti tutta!

L’estate 2023 verrà sicuramente ricordata per il grande ritorno di un genere musicale molto in voga nelle radio e nelle discoteche agli inizi degli anni 80: la “ITALO DISCO”.

L’omonimo brano dei “The Kolors”, ha infatti spopolato ed ha raggiunto i primi posti in tutte le classifiche musicali diventando un vero e proprio tormentone nazionale e non solo.

Personalmente sono molto contento di tale successo, che francamente pochi si aspettavano, se non altro perché si tratta del primo tormentone non a base di Reggaeton, delle ultime otto o nove estati.
Dall’avvento di Despacito o di Danza Kuduro, sembrava che, per creare un brano estivo di successo, non vi fosse altro modo che scriverlo su di una base in quarti sincopati dalla cadenza sudamericana.
La mia speranza è che i brani a base Reggaetone possono avere le estati contate e che andranno a scemare verso il dimenticatoi il prima possibile…
Il brano dei “The Kolors” prende spunto dall’omonimo genere musicale che è stato il simbolo della discomusic italiana anni 80. Il genere in fondo era caratterizzato da brani musicali melodici, dalle armonie semplici (al massimo tre o quattro accordi), realizzate con batterie elettroniche dai suoni sporchi e suoni synth per lo più analogici che eseguivano riff accattivanti e ripetitivi. I testi erano generalmente scritti in un inglese improbabile ma comprensibile anche da chi aveva fatto solo qualche lezione di lingua.
La cosa veramente sorprendete era però che funzionavano e lo facevano veramente alla grande!

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