YAMAHA PSR 6300

Chi ci segue sin dagli inizi, avrà notato che in nessuna delle puntate di questa rubrica, abbiamo analizzato un Arranger prodotto dalla Yamaha. Questa mancanza, non è dovuta al fatto che la casa giapponese non abbia prodotto strumenti innovativi o interessanti in questo campo, anzi, possiamo decisamente affermare l’esatto contrario, ma semplicemente perché non avevamo macchine disponibili da poter testare ed analizzare. La quasi totalità delle tastiere e dei moduli analizzati e descritti nelle rubriche Arranger Legacy e Synth Legend, fanno parte della mia personale collezione nella quale, non è purtroppo presente nessun Arranger Yamaha.
Questa mancanza è principalmente dovuta al fatto che vivendo nei pressi della “Silicon Valley” degli strumenti musicali Italiani, quando dovevo comperare un Arranger, il più delle volte, ho optato per un prodotto “locale” se non altro per avere accesso al massimo supporto possibile o alla più rapida e veloce assistenza tecnica. Il negozio dal quale mi rifornivo da giovane ad esempio, il mitico “Strumenti Musicali Principi”, pur avendo anche in esposizione strumenti giapponesi, promuoveva e sponsorizzava in prima battuta strumenti provenienti dalle fabbriche locali come CRB, Farfisa, Solton o ELKA con le quali probabilmente otteneva margini migliori o magari riusciva a concordare un trattamento economico più vantaggioso.
In ogni caso, grazie alla cortesia di un amico, questo mese colmiamo questa enorme lacuna e parliamo di una delle capostipiti dalla fortunatissima serie di Arranger PSR della Yamaha che quando uscì sul mercato fece molto scalpore sia per le sue funzioni innovative che per la sua qualità sonora.
La Yamaha PSR 6300 era una tastiera Arranger top di gamma che fu immessa nel mercato dalla multinazionale giapponese nel 1986.
Disponeva di una generazione sonora in sintesi FM (Modulazione di frequenza) sviluppata dalla Yamaha agli inizi degli anni ’80 di cui abbiamo già parlato nella puntata dedicata al famoso DX7.
La tastiera ricalcava nella sua forma e nel suo layout meccanico, estremamente elegante ed innovativo, un modello precedente, la PSR 6100 presentata nel 1984, migliorandone però la qualità sonora, il numero delle voci, la polifonia e gli styles disponibili.

Yamaha PSR 6300

Il sistema di amplificazione integrata poteva fa pensare che la PSR 6300 fosse principalmente dedicata all’home entertainment (all’uso casalingo per dirla all’italiana) anche se grazie alle sue caratteristiche top di gamma venne utilizzata da molti musicisti professionisti ottenendo un ottimo successo commerciale.
I competitors del tempo, realizzavano principalmente i loro strumenti con tecniche di generazione sonora analogica o con al massimo qualche suono PCM relegato alle sole parti percussive.
Suoni credibili, una ricca politimbricità (la possibilità di generare contemporaneamente più suoni diversi) e una buona polifonia (la capacità di generare più note allo stesso tempo) erano caratteristiche fondamentali per la reazione di un Arranger di qualità e allo stesso tempo ostacoli quasi insormontabili per la tecnologia in loro possesso.

Il chip di generazione sonora

La Yamaha, grazie agli studi e all’applicazione della sintesi FM, disponeva invece di una serie di chip e strumenti digitali in grado di fare la differenza sia in termini quantitativi (polifonia e politimbricità) che qualitativi. I generatori FM potevano produrre più suoni contemporaneamente e utilizzabili sia negli accompagnamenti armonici che come suoni solisti da eseguire sulla tastiera dello strumento.
Nella PSR 6300 la Yamaha sfruttò a pieno questa “supremazia tecnologica” ed incluse per il tempo ottimi suoni solisti, accompagnamenti armonici ricchi e credibili e ritmi con suoni PCM di qualità.
Non a caso la PSR 6300 fece molto scalpore al suo debutto e fu per alcuni anni una dei leader del mercato.

Layout innovativo
La tastiera disponeva di un pannello comandi che poteva essere richiuso sui tasti.
In pratica una volta chiusa, si presentava come un robusto rettangolo metallico e relativamente facile da trasportare poichè la presenza ai due estremi degli altoparlanti, la rendeva un po troppo lunga.

La PSR 6300 in modalità ” Closed”.

Il suo layout meccanico non era una novità assoluta; ricalcava come già scritto la PSR 6100 immessa sul mercato qualche anno prima (nel 1984) con la quale Yamaha aveva fatto da apri pista in questo segmento di mercato.
Nella PSR 6300 avevano migliorato in maniera sensibile i suoni, la polifonia, i ritmi ed il sound globale dello strumento ma l’impostazione e la filosofia di massima era rimasta simile al modello precedente: la PSR 6100 appunto.

Le tre sezioni dello strumento.

Lo strumento disponeva di 16 voci differenti per ogni sezione disponibili (lower, orchestra e solista) e di 32 ritmi con Drum e suoni campionati.
Erano disponibili inoltre 8 locazioni di memoria per ospitare nuovi stili personalizzati: in pratica si poteva aggiornare il contenuto dello strumento il che rappresentava una grande novità per l’epoca.
Tramite uno slot di memoria, si potevano inserire delle cartucce di memoria aggiuntive, con le quali estendere le funzionalità dello strumento per salvare o caricare nuovi styles e songs.
Visto che le card erano decisamente costose, i dati potevano essere anche salvati e caricati su delle audio cassette tramite un registratore a nastro esterno (preistoria !!).
Se volete sentire quale era il suo sound, guardate il video seguente realizzato dal maestro Marcello Colò nel quale esegue alcuni brani con la PSR 6300.

Leggete anche l’ottimo articolo del ciruito Arranger legacy di questo mese su SM
http://www.smstrumentimusicali.it/yamaha-psr-6300/
e quello pubblicato sul blog di Renato Restagno:
https://tastierearranger.com/2024/05/13/arranger-legacy-yamaha-psr-6300/

I nuovi styles potevano essere direttamente programmati all’intero dello strumento suonando parte dopo parte sulla tastiera e memorizzandoli all’interno delle locazioni di memoria disponibili.
Due wheels per il pitch e la modulation erano presenti nella parte sinistra dello strumento e potevano agire sui suoni “solisti” della tastiera dando maggiore espressività alle esecuzioni.
Tenete in considerazione che tutte le sezioni potevano riprodurre 48 differenti voci con una polifonia massima di 16 note il che per l’epoca era un numero di tutto rispetto.
La tastiera era sensibile alla velocity ed erano disponibili alcune curve di risposta direttamente selezionabili dal pannello.
La parte arranger era molto evoluta. Ogni style disponeva di 4 Fill differenti di una Variazione oltre ad un Intro ed un Ending.
Erano disponibili diverse modalità per impostare gli accordi dell’accompagnamento (single finger, chord, etc.) ed era possibile suonare il basso in modalità manuale (Manual Bass) al di sopra dell’accompagnamento.
Le tre differenti sezioni: Orchestra Lower, Orchestra Upper e Solo disponevano di un controllo volume separato tramite slider che si aggiungeva a quello del volume del basso, della batteria e degli accompagnamenti.
Insomma era un Arranger estremamente completo.

Gli slider per il controllo del volume delle sezioni.


Alziamo il cofano.
Visto che il prodotto era in “prestito” e che non presentava alcun difetto o problema da sistemare, non ho avuto il coraggio di aprirlo e smontarlo.
Trattandosi di un oggetto che ha quasi 40 anni di vita, non ho voluto rischiare di rompere qualche particolare plastico o danneggiare qualche suo circuito interno.
Analizzeremo il suo funzionamento dallo schema elettrico senza ispezionare il suo interno.

La main board della PSR6300

La generazione dei ritmi e dei suoni percussivi di batteria era ottenuta tramite un chip appositamente progettato dalla Yamaha per questo scopo: l’ YM 2154.
Si trattava principalmente di un componente in grado di riprodurre campioni percussivi memorizzati all’interno di memorie ROM custom.

Schematico della generazione dei suoni percussivi.


Il Chip YM 2154 anche chiamato RYP4 drum chip, era un dispositivo multifunzionale che conteneva un sample player a 12 canali (poteva quindi riprodurre un max di 12 suoni percussivi contemporaneamente), un convertitore analogico digitale a 10 canali, 4 pin general purpose e un timer in grado di generare interrupt. Il chip veniva direttamente collegato ad un convertitore D/A (il YM 3012) per generare il suono analogico. Il suo schema di principio e di utilizzo era il seguente:

Schematico di principio di funzionamento del chip YM 2154

Nelle memorie ROM esterne (proprietarie di Yamaha) venivano memorizzati i campioni dei vari suoni percussivi. Questa soluzione è stata utilizzata da Yamaha in molte altre macchine come ad esempio nella famosa batteria elettronica RX 11 e RX 15
Per questo chip erano disponibili anche tutta una serie di memorie ROM (YM 21901, YM 21902, etc..), ognuna dalla capacità massima da 32Kbyte, contenenti suoni campionati dei vari strumenti percussivi che la Yamaha utilizzava di volta in volta nei suoi strumenti musicali.

Tabella di occupazione dei suoni percussivi nelle ROM Yamaha


Dalla tabella possiamo notare che il Ride e il Crash (la tabella si riferisce alla Drum machine RX 11) occupavano ciascuno un’intera memoria (YM 21901, YM 21902) mentre gli altri suoni percussivi erano di dimensioni molto inferiori e potevano essere contenuti in un solo chip.

Reverse engineering
Essendo un chip custom non vi sono notizie pubbliche ufficiali.
Se siete curiosi, a questo link:

https://retroandreverse.blogspot.com/2021/07/secrets-of-ym2154.html

Qui potete trovare un suo studio di reverse engineering che cerca di spiegare come funzionava e come poteva essere programmato.

Pagina del sito dove potete trovare informazioni sul funzionamento del YM 2154

La genrazione Sonora della PSR 6300
La generazione sonora era ottenuta grazie all’uso di due chip distinti marcati come XB768001 che corrisponde all’operatore YM 2414 a.k.a. OPZ.


Si trattava di un chip di generazione sonora custom sviluppato da Yamaha ad otto canali in modulazione di frequenza utilizzato per la prima volta nel generatore sonoro TX81Z.
Permetteva la generazione di otto voci con 4 operatori per canale e disponeva di una serie di forme d’onda prestabilite.
Nel progetto PSR 6300, per aumentare polifonia disponibile, ne vennero utilizzati due gestiti tramite un processore di controllo apposito che smistava i canali e i suoni sui due chip di generazione.

Schema elettrico della generazione sonora della PSR 6300


In pratica un chip generava i suoni dell’orchestra upper e lower mente l’altro quelli della parte solo e degli accompagnamenti.
Due DAC marcati sempre Yamaha convertivano il suono in analogico per poi essere mixato e mandato all’uscita dello strumento.

Per i più curiosi vi segnalo questo software tracker che emula molte delle sonorità dei chip Yamaha compreso quelle del YM 2414
https://github.com/tildearrow/furnace

Di seguito alcune immagini della PSR 6300 che abbiamo provato.

Lineare e Aritmetico: Roland D50

Roland D-50 è uno dei sintetizzatori più importanti degli anni ottanta ed ha segnato in maniera indelebile la storia della musica elettronica. Lanciato nel 1987, è stato uno degli strumenti più rivoluzionari del suo tempo. Fu il primo a combinare suoni e campionamenti in PCM con la sintesi sottrattiva. Questa nuova tecnica, denominata Lineare Aritmetica, permise per la prima volta di creare suoni con un attacco realistico e credibile seguito da un corpo strutturale sintetizzato. Questo innovativo approccio ha reso il D50, un pioniere nel suo campo e offrì ai musicisti dell’epoca, una palette sonora rivoluzionaria molto più ricca e versatile di qualunque altro strumento disponibile sino ad allora.
Dalle prime righe del suo manuale utente possiamo leggere:
Roland D-50 è molto diverso da qualsiasi altro sintetizzatore passato o presente e ciò annuncia l’alba di una nuova era. In passato esistevano i sintetizzatori analogici che si basavano su una varietà di elementi come i VCO, i VCF, e VCA e questi elementi costitutivi, erano relativamente facili da capire e programmare. Potevano produrre suoni caldi e avvolgenti tuttavia non erano in grado di emulare in maniera convincente suoni acustici o creare sonorità innovative. D’altra parte, la prima generazione dei sintetizzatori digitali, gli FM dei primi anni ottanta, pur essendo in grado di generare nuove e bellissime sonorità, sono difficili da programmare ed il processo di creazione dei suoni non è così semplice ed intuitivo come quello del mondo analogico. Il D50 cambia tutto e grazie alla sua innovativa tecnologia digitale e ai suoi chip appositamente progettati, è facile da programmare e capace di creare suoni realistici ed innovativi, dal carattere caldo ed avvolgente.
Insomma una vera e propria rivoluzione!

Roland D50
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KORG iS40: La giapponese dal gusto italiano.

Nella puntata di questo mese di Arranger Legacy, parliamo della tastiera Korg iS40 e del suo modulo i40M.
Questi strumenti appartengono alla prima serie di arranger professionali concepiti e sviluppati nel centro di ricerca KORG, localizzato nei pressi di Ancona (a Campocavallo di Osimo per l’esattezza).
La KORG Italy venne infatti fondata nel 1996 da alcuni ingegneri e tecnici “transfughi” della Generalmusic che coadiuvati e supportati dalla direzione della multinazionale giapponese, misero in piedi un centro di sviluppo vivace e creativo che ancora oggi è pienamente attivo e che continua a sviluppare molte delle tecnologie e delle risorse utilizzate nella maggior parte degli strumenti musicali prodotti dalla multinazionale. Le Marche vennero scelte come base operativa proprio per la sua importante storia nel settore degli strumenti musicali, ma soprattutto per la grande disponibilità di risorse specializzate nell’intera filiera. Il nuovo centro nacque principalmente per sviluppare arranger professionali e pianoforti digitali, sfruttando l’esperienza e le idee degli ingegneri che avevano lavorato attivamente in passato allo sviluppo di alcune macchine iconiche come la serie S della GEM o gli arranger della famiglia WK.
La loro esperienza e creatività unita alla tecnologia e ai motori sonori di sintesi AI2 messi a disposizione dalla KORG, permise di realizzare strumenti professionali molto interessanti e dal grande successo commerciale ,come la serie iS ma anche come le successive e ancora oggi famose, tastiere della serie PA.
Se ne volete sapere di più sulla storia ed i personaggi legati al mondo Korg, leggete l’ottimo articolo di Renato Restagno del circuito Arranger Legacy di questo mese.
https://tastierearranger.com/2024/03/18/arranger-legacy-korg-is40-e-i40m/

Vocazione Arranger
La KORG iS40 e la sorella minore iS50, sono strumenti che offrono una vasta gamma di suoni e funzionalità.
Sono stati progettati per soddisfare le esigenze dei musicisti professionisti più esigenti, ma dispongono nello stesso tempo di un’interfaccia accessibile e facilmente utilizzabile anche dagli amatori o da chi è alle prime armi. Gli strumenti utilizzano il sistema di sintesi AI2 (Advanced Integrated Synthesis System) per la generazione interna ed offrono una vasta gamma di suoni realistici e dalla forte espressività timbrica. Questo sistema infatti combina campionamenti PCM con la sintesi sottrattiva e permette di creare timbri complessi ed articolati. La iS40 dispone di una Wave Rom da 14 mega ( di cui 2 dedicati al timbro di Grand Piano). I suoni sono stati elaborati in Italia e il suo sound si discosta abbastanza da quello presente in molti synth/workstation Korg prodotti precedentemente. Nella iS40 c’è un buon sample di Grand Piano, buone simulazioni di strings, fisarmoniche e ottimi suoni sintetici come da tradizione Korg.

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Wx2: l’Arranger con il Karaoke dentro.

Nella prima metà degli anni 90, il settore delle tastiere arranger e degli strumenti musicali elettronici, era in grande fermento e non vi era semestre in cui i produttori non presentassero nuove macchine sempre più performanti e dalle inedite funzionalità. In quegli anni i musicisti che si esibivano nei piano bar o nelle sale da ballo come esecutori singoli o in piccole formazioni (duo o trio), erano soliti portare sul palco pile di tastiere ed expander dai quali attingere i suoni e gli accompagnamenti per loro esibizioni.
Immancabile era anche il grande blocco dei testi e delle partiture (di solito provvisto di pagine numerate ed indice analitico) dal quale leggere le parole e gli accordi dei brani in scaletta. Ricordo ancora lo “spaginare” rapido e compulsivo che di solito era presente tra un brano e l’altro del repertorio soprattutto quando la scaletta saltava e si doveva eseguire qualche brano a “gentile richiesta”!
Con l’avvento delle macchine multi timbriche, provviste di sequencer interno e degli arranger con accompagnamenti e suoni credibili (vedi articolo sul Roland-ProE ), la pila di espander poteva essere drasticamente ridotta ma restava sempre il problema delle parole e delle partiture.
La giapponese Pioneer proponeva in quegli anni un sistema Karaoke

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Roland RA-95.

Dopo aver già parlato del rivoluzionario “Roland Pro-E” alcune puntate fà (vi consiglio la sua lettura a questo link se non lo avete già fatto) oggi analizziamo una altro fortunatissimo modulo Arranger sempre prodotto dalla Roland e commercializzato nel mondo con il nome di RA-95.

La serie RA viene prodotta da Roland ed è costituita da una serie di moduli non provvisti di tastiera e progettati per essere collegati ad uno strumento MIDI: una master keyboard, un piano digitale o una fisarmonica.
Il dispositivo riceve gli accordi e le note MIDI trasmesse dal controller, ed in base ad esse, genera un completo ed articolato accompagnamento automatico sullo stile musicale selezionato.
Gli arranger della serie RA sono stati prodotti tra il 1989 ed il 1996 e comprendono i modelli RA-50, RA-90, RA-95, RA-30 e RA800. La Roland era infatti solita realizzare linee complete di prodotti capaci di coprire tutte le esigenze dei vari musicisti, da quelli meno esigenti a quelli che utilizzavano questi prodotti in ambito professionale e lavorativo. Ogni modulo aveva infatti diverse caratteristiche e funzionalità relative ai suoni, agli stili , agli effetti e una diversa polifonia totale disponibile.
Negli anni 90, ed in particolare il 1995 (anno di uscita del presente modulo), tanti musicisti si esibivano nei piano bar o nei vari locali da ballo utilizzando macchine arranger e non c’è quindi da stupirsi che i moduli di questa serie ebbero un ottimo successo commerciale e furono molto apprezzati sia per loro qualità sonora (tipica di Roland) ma anche per la loro facilità ed immediatezza d’uso.

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GEM Genesys: il canto del cigno.

La GEM o Generalmusic è stata per molti anni un’azienda leader nel settore degli strumenti musicali elettronici a livello globale.
Fondata in Romagna agli inizi del secolo scorso, dalla famiglia Galanti, che ne ha mantenuto la proprietà sino alla sua chiusura, avvenuta verso la fine degli anni 2000, è stata una delle aziende più innovative e meglio strutturate dell’intero comparto dell’industria musicale Italiana e non solo.
GEM pur mantenendo il proprio head-quarter e gli impianti produttivi in Italia, disponeva di uffici e filari in quasi tutti i contenuti del globo.
L’azienda riusciva a vendere i propri strumenti oltre che in Europa, anche negli USA, in Sudamerica, in Asia, in medio ed estremo oriente grazie a progetti specifici e a mirate personalizzazioni che permettevano di adattare i suoni, gli styles e le modalità operative dei propri prodotti ad ogni specifico mercato.
Marcello Colò, nostro amico di avventure del progetto Arranger Legacy, ha lavorato molti anni presso questa azienda come “product specialist”, mi raccontava che la “regionalizzazione” di un particolare progetto partiva da un’attenta ricerca dei suoni, molto spesso campionati nei luoghi di origine con musicisti locali e da un attento studio dei generi musicali e degli stili che sarebbero dovuti essere poi inglobati all’interno della tastiera.
In pratica la GEM era un’azienda multi culturale e multinazionale, che ha visto il suo apice nel decennio degli anni 90 quando sfornò una serie di prodotti estremamente innovativi e dal grande successo commerciale come la serie WS, di cui vi abbiamo parlato in questa precedente puntata, la serie WX, e la serie WK di cui sicuramente vi parleremo nei prossimi appuntamenti di Arranger Legacy.

Se volete saperne di più sui personaggi e sui nomi di chi sviluppò il progetto Genesys, leggete il post di questo mese di Renato Restagno e quello di Riccardo Gerbi su Strumenti Musicali.

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MidJay: il Player con l’Arranger dentro.

Nella puntata di oggi vi parlerò di un prodotto a me caro che conosco molto bene: il Ketron MidJay.
La macchina, progettata a partire dai primi anni 2000 e sviluppata negli anni a seguire, è essenzialmente un Player “da palco” per la riproduzione di basi MIDI e Audio, che include tuttavia anche una sezione Arranger professionale dal grande sound e dalle molteplici funzionalità.

Ad oltre 20 anni dalla sua realizzazione, l’impatto sonoro della sua sezione di accompagnamento è ancora molto fresca e attuale. Se volete sentire come suona, guardate il seguente video in cui Marcello Colò esegue alcuni dei suoi styles interni, mentre se volete avere una descrizione delle caratteristiche e dei personaggi legati a questo progetto, vi consiglio di leggere l’ottimo articolo del nostro amico Renato Restagno e l’articolo correlato di SM a firma Riccardo Gerbi

La GENESI.

Il MidJay Nasce da un’idea semplice: avere un dispositivo piccolo facilmente trasportabile, con il quale “sparare a raffica” song e brani audio senza alcuna interruzione.
I primi anni 2000 erano gli anni in cui si iniziavano ad essere disponibili le prime DAW su PC con le quali si potevano creare basi mixando loop audio e MIDI e con la successiva possibilità di poterle salvarle in formato Wave o nell’emergente Mp3, che stava pian piano sempre più prendendo piede nel mondo della musica. A questo punto serviva un dispositivo che potesse ospitare al suo interno migliaia di brani per poterli riprodurre in modo istantaneo e senza alcuna interruzione tra l’uno e l’altro: il Ketron MidJay.
Sul mercato erano già presenti dei lettori che riproducevano i file Mp3 (ricordo ad esempio il Galileo della Viscount) ma nessuno aveva la possibilità di memorizzare in maniera massiva grandi quantità di dati con una tale rapidità richiesta nella selezione e riproduzione dei brani.

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Farfisa Seven x

Quando si parla di FARFISA si parla della storia degli strumenti musicali italiani e dell’azienda che è stata la più grande fabbrica d’Europa di questo comparto.
Negli anni sessanta/settanta, strumenti come il Compact Duo o il Polychrome sono stati usati da band e gruppi musicali di fama internazionale ed il loro sound, ha lasciato un segno indelebile nella discografia e nelle produzioni musicali dell’epoca. Molti di questi strumenti vintage, sono stati esposti al museo temporaneo organizzato in occasione dell’annuale Farfisa Day di cui potete leggere in questo mio articolo.

Come è noto, la storia non è stata tenera con questo gigante industriale che, dopo gli anni dei grandi successi, vide la propria competitività ed il proprio appeal ridursi anno dopo anno sino alla sua completa e definitiva chiusura avvenuta alla fine degli anni 90 (1997).
Personalmente ritengo che il caso debba essere studiato nel dettaglio e capire come, un tale “disastro industriale”, possa essere accaduto nella speranza che non si ripeta di nuovo.

Passare da essere “numero uno del settore” a “magazzino IKEA” (questa è la fine a mio avviso poco gloriosa che ha fatto la location della storica azienda) non è cosa da poco soprattutto, viste le molteplici occasioni di rilancio che si sono susseguite negli anni e le ingenti iniezioni di denaro pubblico e privato finalizzate al sostegno e al suo sviluppo.

E’ nota infatti la storia del centro ricerca IRIS che l’azienda, una volta rilevata dalla Bontempi, impiantò nei pressi di Roma al fine di sviluppare chip e DSP adatti a realizzare strumenti musicali elettronici digitali professionali.  Da quanto ho sentito e visto, nei vari incontri che si sono svolti negli anni sull’argomento, il centro era gestito da matematici, fisici che pur realizzando sistemi di alta tecnologia, non riuscirono a “mettere a terra” nei giusti tempi, quello che sarebbe servito alla loro azienda per essere competitiva sul mercato.
Le premesse c’erano tutte: realizzarono infatti il  K22,  un DSP customizzato per applicazioni musicali (probabilmente derivato da un altro DSP) che permetteva di generare suoni in tecnologia “multisintesi” molto ben fatto per l’epoca.

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Technics SM-AC1200, l’Arranger con gli occhi a mandorla.

Technics era un’azienda giapponese del gruppo Matsushita (successivamente confluita in Panasonic) che a partire dai primi anni ’60 ha prodotto strumenti musicali e tastiere elettroniche professionali dall’indiscusso valore tecnico e musicale, oltre ovviamente alle apparecchiature Hi-Fi e agli strumenti per Dj per cui è forse maggiormente conosciuta.

Nel 1984, ad esempio, fu una delle prime aziende a sviluppare un Digital Piano interamente basato su campioni PCM (il SX-PV10 PCM) mentre nell’anno successivo, il 1985, sviluppò una delle prime batterie elettroniche digitali (la SY-DP50 ) sempre basata sulla tecnologia PCM.

Technics KN7000

Negli anni 90 produsse una serie di tastiere Arranger della serie SX-KN ancora oggi estremamente valide e ricercate dagli amanti del genere.
La KN7000, ad esempio, presentata nel 2002, era qualcosa di avveniristico: una tastiera con un pannello richiudibile e un display dalle dimensione mastodontiche mai visto prima.

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TS4K, Arranger Top Section da palco.

Ho sempre pensato che la TSK4 fosse uno degli esempi dell’ingegno e della creatività della piccola azienda marchigiana che la progettò e la commercializzò nel mondo ottenendo anche un ragguardevole successo.
E’ innegabile infatti, che la Ketron, ai tempi ancora sotto il cappello della “Solton”, non era in possesso dei mezzi e della tecnologia per competere ad armi pari con i giganti nipponici che già da qualche anno, dominavano il mercato degli strumenti musicali elettronici.
Le generazioni sonore e le piattaforme digitali  utilizzate dalla concorrenza, che realizzavano macchine in sintesi FM o in Linear Arithmetic, erano proprietarie e non disponibili alle altre aziende competitors che si dovevano arrangiare con ciò che era disponibile sul mercato.

Per saperne di più sulla storia ed i personaggi coinvolti nel progetto, vi consiglio di leggere l’ottimo articolo di Renato Restagno relativo alla TSK4 del circuito Arranger Legacy.

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